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sabato 5 settembre 2015

Tha Shadows - Capitolo 15



THE SHADOWS

Ho deciso di riproporre come l’anno scorso la traduzione di alcuni capitoli del nuovo libro della Ward con protagonisti Trez e iAm, fino all’uscita della traduzione italiana della mondo libri.
Aspetto ancora con ansia altri vostri commenti e prego di citare la fonte se mai vorrete prendere in prestito questa traduzione.
La traduzione è amatoriale e senza scopo di lucro.
Alcune parti non sono tradotte letteralmente perché era impossibile trascrivere in italiano quello espresso in inglese, soprattutto modi di dire.




CAPITOLO XIV


“No, la tengo io, grazie.”
Nel rispondere, Trez fece un sorriso a Ehlena perché non voleva che l'infermiera si offendesse mentre la allontanava. Ma la verità era che lui era ben più che pronto a portare Selena fuori dalla sala visite. Voleva portarla fuori dal centro di addestramento. Via... da qualche parte, in qualsiasi altro posto.
Anche se quel momento era ancora lontano. Appena due ore prima il suo battito si era spento, le avevano scaricato nel torace un miliardo di watt di energia elettrica, e in qualche modo lei era riuscita a ritornare dal baratro grazie a lui e a tutta la trafila del  trasformarsi in una coperta vivente, soffiandole la vita nell'anima.
Oh, beh, era solo un altro giorno.
O era notte?
Chi cazzo lo sapeva.
“Sei pronto?” gli chiese Selena.
Era una roba tipo paesaggio da fiaba quando lei lo guardò negli occhi e lui annuì con la testa. Non avrebbe mai creduto possibile una ripresa - o il fatto che il corpo di lei si fosse piegato nel modo corretto mentre lui la sosteneva sotto le ginocchia e per le spalle.
“Sarò... delicato.” Quando la sua voce si incrinò, si sarebbe preso a calci in culo da solo. “Sarò gentile e mi muoverò lentamente.”
Lei annuì di nuovo e rimase a bocca aperta quando Trez la sollevò dal lettino visite e la allontanò dal fascio di luce della lampada scialitica, che era stata abbassata vicino al suo corpo.
“Da che parte?” chiese di nuovo lui, anche se gli era già stato detto due volte.
Ehlena, che era incaricata di tenere la flebo, li condusse a una porta. “Di qua.”
In fondo, la sala di terapia intensiva non conteneva nulla che lui desiderasse per la sua femmina. Il letto era come quello di un ospedale, con grandi sponde di contenzione su entrambi i lati, le coperte erano sottili, le lenzuola semplici e bianche. C'era un'asta a cui agganciare la flebo e un sacco di apparecchiature di monitoraggio. I cuscini sembravano duri.
D'altronde, lui avrebbe voluto posarla su un letto di piume fatto a mano e perfino quello sarebbe stato inadeguato.
Selena rabbrividì mentre lui la metteva giù con attenzione. E poi, quando Trez cercò di sfilarle le coperte da sotto il corpo, lei chiuse gli occhi e scosse la testa.
“Solo un minuto?” gemette Selena, come se tutto le dolesse.
“Già. Sicuro. Naturalmente.”
Ehhhh ora lui non aveva niente da fare. Guardandosi intorno, adocchiò una sedia e immaginò il proprio culo lì sopra, così non le sarebbe stato troppo addosso.
Mentre si sedeva, ed Ehlena li lasciava soli alla ricerca di un minuscolo momento di pace, lui pensò, Merda, Selena era così immobile. Ma almeno le sue articolazioni avevano un’angolazione quasi normale, respirava da sola ed era cosciente.
Era ancora molto pallida, però. Il viso aveva quasi il colore delle lenzuola. E anche se i suoi capelli erano stati pettinati, c'erano ancora dei nodi nella capigliatura scura.
“Mi... dispiace...”
“Che cosa?” esclamò lui, sporgendosi in avanti. “Cosa hai detto?”
“Mi dispiace...”
“Per cosa? Gesù, come se ti fossi offerta volontaria per questo!”
Quando lei iniziò a piangere, lui abbandonò la sedia, si avvicinò al letto e le si inginocchiò accanto. Raggiungendola, abbassò la sponda e prese la mano che era più vicina a lui.
“Selena, non piangere.” C'era una scatola di Kleenex sul comodino di fianco al letto e lui mollò la presa per tirarne fuori uno e asciugarle le guance. “Oh, no, non scusarti. Non puoi scusarti per una cosa simile.”
La sua respirazione era irregolare. “Io non volevo che tu lo sapessi. Non volevo che ti... preoccupassi.”
“Vorrei che me lo avessi detto.”
“Non si può fare nulla.”
Okay, questa era proprio una coltellata tra le fottute costole. “Non lo sappiamo. Manny sta per consultarsi con alcuni dei suoi colleghi umani. Forse…”
“Ti amo.”
Le sue parole lo colpirono come uno schiaffo in pieno viso e Trez tossì, rimase a bocca aperta, farfugliò e ansimò allo stesso tempo. Grande risposta. Davvero virile, cazzo - il che gli ricordava, assurdamente, di quel distorsore vocale in Ferris Bueller mentre lo stronzetto era al telefono con i suoi compagni di classe.
Quale diavolo era il suo problema? La femmina di cui era innamorato, quella che voleva più di ogni altra cosa al mondo, gli aveva detto le Tre Paroline Magiche... e lui si era trasformato in un gigantesco ammasso di funzioni fisiche.
Davvero romantico.
Beh, almeno non si era sciolto nei suoi Levi's.
“Io...” balbettò.
Prima che potesse aggiungere altro, lei gli strinse la mano e scosse la testa avanti e indietro sul cuscino. “Non devi dirmelo anche tu. Volevo solo che tu lo sapessi. Per me è importante... che tu lo sappia. Non c'è tempo…”
“Non dire così.” La sua voce si fece stridula. “Ho bisogno che tu non lo dica mai più. C'è tempo. C'è sempre tempo…”
No.”
Dio, i suoi occhi azzurri erano antichi mentre lo fissava. Anche nel suo viso perfettamente scolpito, che irradiava bellezza nonostante la condizione, quel suo sguardo esausto la faceva sembrare vecchia.
Era tutto così ingiusto. Selena in quel letto, lui in ginocchio… e nessuna possibilità di poter condividere con lei la salute che lui aveva in abbondanza. Certo, quando era in arresto cardiaco Trez era stato in grado di riportarla indietro, ma lui non voleva semplicemente trascinarla via dal baratro. Voleva curarla.
Voleva... avere degli anni da trascorrere con lei.
Eppure, proprio mentre il pensiero lo colpiva, si rese conto che non sarebbe mai accaduto: anche se il destino di lei fosse cambiato, il suo non lo avrebbe fatto.
“Ti amo...” mormorò Selena.
Per un attimo, fu lui a sentirsi sull'orlo del precipizio, il cuore e l'anima vacillanti e in procinto di sprofondare nelle sue parole, nei suoi occhi, in tutto ciò che la rendeva femmina, misteriosa e meravigliosa... ma poi si disse che era quasi morta, al massimo era a malapena cosciente, e probabilmente non aveva idea di quello che gli stava dicendo.
Inoltre la dottoressa Jane aveva annunciato che lui le aveva salvato la vita. Il che poteva essere vero o meno … ma, data la tragedia, la gratitudine poteva far provare a chiunque qualcosa che non avrebbe sentito normalmente.
O forse alimentava le fiamme dell'affetto trasformandolo in un'emozione improvvisa molto più forte.
“Non devi dirlo anche tu” sussurrò lei. “Ma avevo bisogno che tu lo sapessi.”
“Selena, io…”
Alzò l'altra mano, con il palmo in avanti. “Non c'è bisogno di andare oltre.”
Il silenzio rimbombò ma solo nella stanza. Nella sua scatola cranica? Il suo cervello era un cavo ad alta  tensione sottoposto a spasmi, tutti i tipi di pensieri e immagini gli scorticavano la coscienza come se la sua materia grigia fosse diventata una scimmia che lanciava escrementi per tutta la gabbia.
Concentrandosi di nuovo su lei, disse a se stesso darsi una mossa e provare ad aiutarla.
“Ti andrebbe di nutrirti?” Sollevò la mano libera, mostrandole il polso. “Per favore?”
Quando lei annuì fu un immenso sollievo, lui si morse la carne con le proprie zanne prima che distendere il braccio fino a portare la vena alla bocca di Selena. In un primo momento lei si attaccò a malapena, bevendo a piccoli sorsi. Col tempo, però, assunse il controllo succhiando da lui, prendendo quello che aveva da darle dal profondo.
Gli venne duro.
Non poteva evitarlo. Ma non era desiderio sessuale. Era troppo distratto dalla preoccupazione per lei, mentre si domandava se, da un momento all'altro, il suo corpo cedesse di nuovo.
Selena era stabile, aveva detto la dottoressa Jane. Lei era stabile come chiunque poteva esserlo dopo centoventi minuti di totale collasso molecolare. Almeno la seconda serie di raggi X aveva qualcosa di miracoloso. Mentre nei primi c'erano ossa in quelle che dovevano essere le parti mobili delle sue articolazioni. Ora, sia secondo la dottoressa Jane che Manny, le cose erano più "anatomicamente appropriate."
Nessuno sapeva dove quella robaccia fosse andata a finire. O perché fosse sparita. Oppure, quando sarebbe tornata. Quello che sapevano di sicuro era che dove non c'era stato più alcun movimento, adesso c'era.
Dopo un bel po', le labbra di Selena si rilassarono e le palpebre si socchiusero. Ritraendo il braccio, lui si leccò le ferite chiudendo i fori, addossò l'avambraccio sul materasso e vi appoggiò il mento sopra.
“Come hai fatto a trovarmi?” chiese lei con voce assonnata. ‘Sono caduta quando ero al Santuario...”
“Qualcuno è venuto a prendermi.”
“Chi...?”
La Vergine Scriba, pensò lui mentre lei russava lievemente.
“Selena?”
“Sì?”. Lei provò a scuotersi, sollevò la testa e costrinse gli occhi ad aprirsi. “Sì...?”
“Voglio che tu sappia una cosa.”
“Prego.”
“Non importa cosa accadrà, io non ti lascerò. Se mi vuoi con te, non importa... come andrà a finire, io resterò al tuo fianco. Se vuoi che io ci sia, allora ci sarò.”
Selena lasciò scivolare lo sguardo sul suo volto. “Tu non sai di cosa stai parlando…”
“Col cavolo che non lo so.”
“Sto morendo.”
“Anch'io, ma non so quando accadrà, e nemmeno tu.”
Nei suoi occhi luminosi brillò una complessa emozione. “Trez. Ho visto le mie sorelle vivere la malattia. Lo so cosa…”
“Tu non sai un cazzo. Con il dovuto rispetto.”
Trez si alzò e andò ai piedi del letto. Sfilò lenzuola e coperte dal materasso, guardò sotto ai suoi piedi.
“Cosa stai facendo?”
Con una mano gentile, lui inclinò una delle sue caviglie in modo da poter guardare la pianta del piede. “Non c'è.”
“Scusami?”
“Non vedo alcun timbro con la data di scadenza qui sotto.” Fece lo stesso con l'altro piede. “Neanche qui.”
Rimise le coperte a posto. Le rimboccò. Fissò il corpo di lei … e cercò di sfuggire al fatto che la sua carne che lui bramava con ogni probabilità poteva essere quello che li avrebbe separati per sempre.
Poi si ricordò della notizia iAm che gli aveva dato nel corridoio.
Merda, come se non avesse abbastanza rogne di suo.
“Io non ti lascerò” le promise.
“Non volevo parlarti di tutto questo.” I suoi occhi si inumidirono, le lacrime trasformarono quelle iridi azzurre in pietre preziose. “Non volevo che tu lo sapessi e mi compatissi.”
“Non ti compatisco.”
“Non fare questo a te stesso, Trez. Solo... sappi solo che ti amo e lasciami andare.”
Lui tornò da Selena. “Posso avere la tua mano?”
Quando lei si girò rigidamente sul letto e allungò il braccio, lui le prese il palmo e se lo mise tra le gambe, sulla dura erezione che premeva contro la patta. Il contatto lo fece sibilare, le zanne discesero in fretta, ruotò il bacino.
“Questo ti sembra pietà?” disse lui a denti stretti.
Cazzo, lui dovette fare un passo indietro. Aveva fatto quel gesto esplicito solo per dimostrarle il suo punto di vista, invece si ritrovò pronto a venire, il suo corpo che passava da zero a sessanta in un nano secondo.
“Trez...”
“Non sto dicendo che dobbiamo fare sesso. Per niente. Ma non sono qui perché ti compatisco, okay?”
“Io non posso chiederti di restare.”
“Tu no. Io posso scegliere di farlo. Io posso scegliere... te.”
Mentre diceva quelle parole, si rese conto che, porca puttana... era vero. Per una volta nella sua vita, si sentiva come se stesse scegliendo qualcosa - e in un modo strano, ma bello. Anche se la situazione era davvero una roba triste, si sentiva liberato del tutto, Questa è la mia scelta.
Questa… situazione... era qualcosa che avrebbe avuto la priorità su tutto per quanto fosse durata, dovunque li avrebbe condotti.
Supponendo che Selena lo volesse con lei.
Nel silenzio che seguì, lui si guardò intorno, vide le pareti nude e seppe di doverla portare fuori da quella stanza d'ospedale. Certo, si trovava vicino al personale medico qualora avesse avuto problemi, ma ti metteva in uno stato d'animo da schifo, era un deprimente Tu Sei Malato.
Trez si concentrò di nuovo su di lei. “Qualunque cosa ti serva, io sono qui per te, va bene? Se mi vuoi.”
Dopo un momento, lei gracchiò: ‘Ti voglio”.
“Va bene, allora.” Trez lasciò andare un respiro veloce, poi alzò l'indice. “Solo una cosa. Nessuna data di scadenza, d’accordo? Affronteremo questa cosa come se tu potessi vivere per sempre.”
L'incredulità si dipinse sul viso di Selena, ma lui si limitò a scuotere la testa. “No. Questa è la mia regola numero uno.”
Trez non era stupido. Aveva ascoltato quello che quello che l'altra Eletta aveva detto guardando i raggi X e osservando la posizione del corpo. Lui sentiva dentro di sé che stava per perderla e che, molto probabilmente, sarebbe successo presto. Ma lui che regalo poteva farle? La cosa più importante - diamine, forse l'unica cosa - che lui poteva donarle?
La speranza.
E lui non aveva bisogno di credere che lei dovesse essere curata per sentirla, per condividerla o per viverla.
Essere presente. Amarla fino alla fine. Non lasciare mai il suo fianco fino all'ultimo respiro.
Era così che l'avrebbe onorata con il suo cuore e la sua anima, anche se lui non ne era degno.
“Nessuna data di scadenza” esclamò lui. “Viviamo ogni notte come se ne avessimo ancora un migliaio da vivere.”


Selena batté le palpebre allontanando altre lacrime. Sotto molti aspetti, non poteva credere che Trez si trovasse ai piedi del suo letto d'ospedale, che scrutasse nella sua anima con l'unico intento che solo la sua volontà riuscisse a tenerla in vita e in buona salute per tutto il tempo che lui desiderava.
“Non credo che abbiamo un migliaio di notti, Trez” gli disse.
“Come lo sai? Ne sei sicura?”
“No, ma…”
“E allora perché sprecare anche solo un attimo del tempo a nostra disposizione nel pensarla in quel modo? Cosa ce ne entrerebbe? Scherzi a parte, come posso aiutarti a…”
“Vuoi venire a letto con me?”
Lui si schiarì la gola. “Sei sicura?”
“Sì. Ti prego.”
Lei ammirò l'agilità con cui lui si mosse, mentre si issava sull'alto materasso, si spostò all'altro lato, aiutandola a fare un po' di spazio per lui. E come se lui le leggesse nella mente, se la sistemò tra le braccia così che la sua testa si appoggiasse al suo torace.
Sospiri. Esausti.
Da parte di entrambi.
“Mi sento sollevata” sentì se stessa dire. “Volevo che lo sapessi, ma...”
“Shh. Hai bisogno di dormire.”
“Sì.”
Chiudendo gli occhi, lei poteva percepirlo in una dimensione differente ora, il suo sangue si faceva strada dentro lei e nel suo sistema, rafforzandola dopo l'episodio. Nella sua mente, lei calcolò con esattezza quando si era verificato l'ultimo arresto. Tredici notti prima. Quello precedente? Sedici.
Ma forse, se non avesse più offerto la sua vena a nessuno, avrebbe avuto più di una tregua. E forse la forza che lui le aveva appena donato attraverso il suo sangue l’avrebbe aiutata a combattere anche tutte le successive crisi.
“Mi sono allontanata” gli disse, “a causa di tutto questo. Non a causa tua. Non mi importa del tuo passato. Voglio solo che tu lo sappia.”
Trez cominciò a strofinarle la schiena, facendo cerchi con il suo grosso palmo. “Shh. Prova solo a riposare.”
Selena sollevò la testa. ‘Questo devi lasciatemelo dire. Devi ascoltarlo e devi crederci. So che tu volevi tenermi fuori dalla tua vita perché pensavi che io... ti giudicassi o qualcosa del genere. Ma io mi sono allontanata a causa di tutto questo, non perché sei stato con un sacco di... umane. E neanche a causa del tuo fidanzamento.”
Trez chiuse gli occhi e fece una smorfia. Poi scosse la testa. “Devo essere onesto con te. L'ultima cosa a cui voglio pensare adesso è…”
“Io non credo che tu sia impuro, Trez.”
“Ti prego. Smettila.
Gli prese la mano e la strinse, cercando di mettersi in contatto con lui, sentendo il desiderio di dirgli tutto in una volta, di mettere le carte in tavola. La sua teoria sull’avere migliaia di notti a disposizione era un buon intento per la sua salute mentale … e lui era giunto alla sua stessa conclusione: non c'era una data o un tempo di scadenza su di lei. Ma lei aveva vissuto in questa realtà dal primo episodio che era avvenuto molti decenni prima, e il suo percorso per la sopravvivenza era come quello di un'auto che andava fuori strada e scivolava in un fosso.
Non c'era possibilità di sopravvivenza a questo.
“Devo dirtelo, Trez. Ho aspettato davvero tanto prima di parlarne con te. Non voglio perdere la mia opportunità.”
Vagamente, Selena si accorse che stava parlando con più enfasi, sentendosi di più se stessa, recuperando sempre più grazie al dono della sua vena.
“Tu sei un uomo di valore, e credo di essermi innamorata di te la prima volta…”
Trez schizzò fuori dal letto e, per un istante, lei pensò che stesse per andarsene via, uscire dalla porta e allontanarsi da lei e dalla sua stupida malattia. E per un momento, lui si fermò davanti all'uscita.
Ma poi cominciò a camminare in tondo per la stanza.
“Perché per te è così difficile da accettare?” chiese Selena ad alta voce. “Che sei un brav'uomo. Che vali…”
“Selena, non sai di cosa stai parlando.”
“Ti stai aggirando in questa stanza come sei fossi braccato. Quindi sono abbastanza sicura di saperne qualcosa.”
Trez si fermò e scosse la testa. “Guarda, questo riguarda te. Questo...” Lui agitò la mano avanti e indietro tra di loro. “Tutto questo riguarda te. Io sono qui per te e per le tue esigenze, qualunque esse siano. Noi faremo in modo di tenermi fuori da questo, va bene?”
Selena si spinse più in alto sul cuscino. Lo sforzo sui suoi gomiti e sulle sue spalle le fece stringere i denti e dovette riprendere fiato come se il dolore si prendesse con calma il suo tempo per dissolversi.
Ma era meglio che essere rigida e paralizzata.
Quando lui strinse gli occhi della preoccupazione, lei gli disse: “No, non ho bisogno della dottoressa Jane. Davvero”.
Mentre lui si strofinava la faccia, lei lo guardò attentamente per la prima volta. Aveva perso un po' di peso negli ultimi tempi, le guance erano talmente scavate che la mascella appariva ancora più pronunciata, gli occhi più infossati nelle orbite, le labbra apparivano più piene. Eppure anche così, era un enorme maschio della specie, con le spalle tre volte più grandi delle sue, il petto e l'addome scolpiti, le fasce di muscoli che scendevano sulle braccia e sulle gambe.
Era bellissimo. Dalla sua pelle scura agli occhi neri, dalla sommità della testa rasata alle suole dei suoi stivali.
“Sei davvero un maschio di valore” mormorò lei. “E dovrai accettarlo.”
“Oh, davvero” fu la sua replica ironica. “Non sono così sicuro di…”
“Smettila.”
Trez la fissò e poi aggrottò la fronte. “Sai, io non sono sicuro del perché stai ancora parlando di questo argomento. Senza offesa, ma tu sei quasi morta in quell'altra stanza. Tipo, quanto tempo fa? Mi sembra dieci minuti. La mia merda non è importante adesso.”
Selena guardò il proprio corpo. Indossava un camice da ospedale azzurro con un disegno a spirali blu. Era legato sulla schiena e sentiva i nodi che le mordevano i punti in cui avrebbe dovuto esserci il suo reggiseno se avesse indossato uno, e più in basso, uno piccolo in fondo alla schiena.
Le sembrava strano pensare che le cose nel suo corpo funzionassero con una relativa normalità adesso. E la realtà che loro non sarebbero riusciti a mantenere questa funzionalità per molto, portò una straordinaria nitidezza.
“Sai” mormorò lei, “non ho mai considerato il fatto che ci potrebbe essere un aspetto positivo nel soffrire di una malattia mortale.”
“E quale sarebbe?” chiese cupo Trez.
Lei spostò lo sguardo verso di lui. “Non ti spaventa dire le cose come sono realmente. L'onestà può essere terrificante, a meno che tu non abbia qualcosa di più spaventoso contro cui misurarti… come la prospettiva di morire. Quindi ti dirò precisamente perché io penso che la tua 'merda', come la chiami tu, è importante. Qualunque cosa ti guidi, qualunque cosa lo stia causando” - lei fece un cenno circolare che comprendeva tutto il corpo di Trez - “o che abbia causato quel vuoto dentro di te? Penso che tu abbia usato tutte quelle donne per sfuggire a quello. Penso che ti sia scopato quelle umane per tutti quegli anni come distrazione e il fatto che tu non voglia riconoscerlo? Mi preoccupa che tu potresti usarmi come una distrazione ancora più grande, il modo migliore per evitare te stesso. Cosa potrebbe esserci di più seducente o efficace, se tu non vuole affrontare i tuoi problemi, di una certa femmina affetta da una malattia mortale?”
“Gesù Cristo, Selena, non la penso così. Affatto…”
“Beh, forse dovresti.” Lei inclinò la testa, un'altra conclusione la colpi come una tonnellata di mattoni. “E ti dirò un'altra verità. Se avessi a disposizione un migliaio di notti o solo due? Voglio viverle con te - ma solo in modo onesto. Non voglio essere la tua nuova scusa, Trez. Ti voglio qui, ti voglio con me, ma ho bisogno che questa cosa che c'è tra noi sia reale. Non ho l'energia o il tempo per qualcosa di meno.”
Nel lungo silenzio che seguì, lei aspettò la sua risposta. Ma non importava quanto le cose fossero diventate imbarazzanti, lei non avrebbe ritrattato una singola parola.
Aveva detto esattamente quello che aveva in mente.
In realtà, fu davvero liberatorio.



venerdì 28 agosto 2015

The Shadows - Capitolo XIV



THE SHADOWS

Ho deciso di riproporre come l’anno scorso la traduzione di alcuni capitoli del nuovo libro della Ward con protagonisti Trez e iAm, fino all’uscita della traduzione italiana della mondo libri.
Aspetto ancora con ansia altri vostri commenti e prego di citare la fonte se mai vorrete prendere in prestito questa traduzione.
La traduzione è amatoriale e senza scopo di lucro.
Alcune parti non sono tradotte letteralmente perché era impossibile trascrivere in italiano quello espresso in inglese, soprattutto modi di dire.



CAPITOLO XIV

Layla si sentiva oppressa mentre guidava con un piede sull'acceleratore ed entrambe le mani sul volante della sua Mercedes azzurra. Qhuinn le aveva comprato la E350 4matic, qualunque cosa significasse, circa tre mesi prima. Lui avrebbe voluto qualcosa di più vistoso, di più grande e più veloce ma, alla fine, la piccola berlina era stata quella con cui lei si era trovata più suo agio. E aveva scelto quel colore perché le ricordava la vasche da bagno su al Santuario.
La campagna alla periferia di Caldwell si estendeva su colline e valli, lei amava quei graziosi campi ondulati pieni di mais nei mesi di luglio e agosto, che venivano falciati come la barba di un maschio nei mesi di inattività. Lei conosceva ogni particolare del paesaggio con il cuore, il percorso che conduceva a quel  determinato pendio, a quel particolare campo, a quell'albero adesso così importante.
Quando arrivò alla base della collina bassa, spense le luci e lasciò che l'auto scivolasse fino a fermarsi. Non si sentiva mai bene nel venire qui, ma dopo aver visto lo stato in cui Selena si trovava ed essere conscia di ciò che significava, il suo cuore era ancora più pesante del solito.
Si issò, uscendo da dietro al volante, poggiò le mani in basso sulla schiena e si inarcò sporgendo il petto in fuori, cercando di rilassare i muscoli che sembravano perennemente contratti -
“Sei in anticipo.”
Con un sussulto, Layla si voltò.
Xcor era in piedi a pochi metri di distanza dal paraurti posteriore dell'auto e lei capì subito che qualcosa non andava in lui. Non che il suo volto duro fosse diverso in qualche modo; dal labbro leporino che faceva apparire un ringhio perenne sulla bocca, agli occhi furbi e la mascella scolpita. Tutte le caratteristiche erano le stesse di sempre. Non aveva cambiato il taglio di capelli, come sempre rasati. Neanche il lungo spolverino di pelle nera, oppure gli stivali da combattimento, o tutte le armi che lei sapeva avere addosso, ma che aveva sempre cura di nascondere alla sua vista.
Non era in grado di individuare esattamente quale fosse l'indizio. Ma il suo istinto non mentiva e non si era mai sbagliato.
“Sei indisposto?” chiese lei.
“E tu?”
Layla appoggiò una mano sulla pancia. “No, sto bene.”
“Cos'è successo ieri sera? Perché non sei venuta?”
Un'immagine di Qhuinn che andava avanti e indietro nella sala da biliardo mentre lei e Blay si sedevano sul divano le balenò alla mente. E poi vide loro tre starsene in disparte giù nella sala visite del centro di addestramento mentre visitavano Selena e infine veniva data la brutta notizia.
“Ho avuto un'emergenza familiare” disse lei. “Beh, due, in realtà.”
“Di che tipo?”
“Nulla che ti riguardi.”
“Non c'è molto di te che non mi riguardi.”
Alzando lo sguardo verso l'albero sotto il quale di solito si sedevano, Layla rabbrividì. “Io…”
“Hai freddo. Entriamo in macchina.”
Nel suo solito modo, Xcor prese il comando, le aprì la portiera e si fece da parte, in un ordine silenzioso. Per un attimo, lei esitò. Nonostante il nobile impulso di assicurarsi che il Re e i Fratelli fossero in salvo, lei sapeva nel suo profondo che nessuno di loro avrebbe mai approvato questi incontri, queste parole, questo tempo trascorso con il nemico giurato della Confraternita.
Colui che aveva tramato per la morte di Wrath non una, ma due volte.
Starsene seduta con Xcor proprio nell'auto che Qhuinn aveva comprato per lei con tutto il suo affetto era una violazione di tutti i rapporti che per lei valevano di più.
Solo che stava proteggendo quelli che lei amava, ricordò a se stessa.
“Entra” le disse Xcor.
E lei entrò.
Una volta chiusa la portiera, Xcor fece il giro dell'auto fino al lato del passeggero, batté le nocche sul finestrino e lei sbloccò la chiusura centralizzata. A quel punto lei riflette sul falso mito che gli umani attribuivano ai vampiri, in cui si supponeva che i non morti dovessero essere invitati a entrare per poter attraversare una soglia.
Quanto era lontano dalla realtà.
Il corpo da guerriero di Xcor occupò tutto lo spazio nell'abitacolo mentre si accomodava su un sedile che era troppo grande per lei, sebbene fosse incinta. Layla fece un respiro profondo per ricomporsi, odiava il fatto che le piacesse il suo odore - ma le piaceva comunque. In realtà, si era sempre preso la briga di ripulirsi per bene ogni volta che si erano incontrati, la pelle profumata di una colonia speziata che lei voleva trovare a tutti i costi sgradevole.
Tutto questo era molto più accettabile se fosse rimasta concentrata sul fatto che lei veniva costretta all'adiacenza, al contatto, a questa vicinanza.
Perché trovarsi lì con lui su libero arbitrio...
Dio, perché doveva sentirsi così stasera…
“Metti in moto” disse lui. “Per favore.”
“Cosa?” Il suo cuore cominciò a battere forte. “Perché…”
“Qui non è più sicuro. Dobbiamo incontrarci da un'altra parte.”
“Perché?” La realtà di quanto poco sapesse e si fidasse di lui le fece capire esattamente quanto fossero lontani. “Che cosa è cambiato?”
Lui la guardò. “Per favore. È per la tua sicurezza. Non ti farei mai del male - dovresti saperlo - e per questo ti dico che qui non è più sicuro per noi.”
Lei sostenne il suo sguardo per un lungo momento. “Dove andiamo?”
“Ho messo in sicurezza un altro posto. Dirigiti a ovest. Per favore.”
Quando lei non si mosse, Xcor mise una mano sulle sue e le strinse. “Qui non siamo al sicuro.”
Mentre lasciava la presa, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei. E un attimo dopo, Layla si fissò sul panorama mentre si allungava in avanti e premeva il pulsante di avviamento per accendere il motore. “Va bene.”
Non appena l'auto partì, nell'abitacolo si sentì un persistente suono ripetitivo. “È la tua cintura di sicurezza” spiegò lei. “Devi metterla.”
Lui eseguì senza alcun commento, tese completamente la cintura e la passò sul petto massiccio, quindi inserì l'attacco nella chiusura.
“Quanto dista?” chiese lei, mentre un nuovo picco di paura le faceva accelerare di nuovo il battito.
“Poco più di quindici chilometri.”
Xcor abbassò appena il finestrino e respirò come se stesse cercando di individuare un profumo nell'aria. “È un posto sicuro.”
“Mi stai sequestrando?”
Lui indietreggiò. “No. Sei, come sempre, libera di andare e venire.”
“Va bene.”
Lei sperava che stesse dicendo la verità. Pregava che fosse sincero. E non che si facesse luce sul gioco fatale che lei stava giocando.
Questa storia doveva finire, pensò lei. C'era in corso una guerra contro i lesser. Lui era un traditore del Re.
Lei era sempre più incinta. Il problema era che non sapeva come districare le corde che li tenevano legati insieme.


Rhage fu l'ultimo dei Fratelli a materializzarsi sul prato di una villa che sembrava uscita fuori da una rivista per i ricconi appartenenti all' 1% della popolazione. Quando alzò lo sguardo verso l'immensa casa vicina, udì la voce del narratore esterno dal vecchio telefilm di Batman che diceva: “Nel frattempo, alla maestosa tenuta Wayne...”.
Il palazzo in stile Tudor si affacciava su prati ben curati ed era di una bellezza tale da poter fraternizzare con niente meno che la Casa Bianca, le luci accese l'interno risplendevano di uno sfarzoso giallo tenue come se ci fossero delle coperture in oro massiccio su tutte le lampade. Con rapida efficienza, un maggiordomo poteva essere visto di fronte alla fila di finestre con vetri a diamante con indosso la divisa formale, qualcosa che avrebbe messo Fritz.
Probabilmente si servivano dallo stesso sarto.
“Siamo pronti per Sua Altezza Reale?” chiese ironicamente V.
Ci fu un borbottio di conferma tra loro cinque, e poi Vishous scomparve nel nulla. Il piano era che lui raggiungesse Butch nella nuovissima Range Rover dello sbirro, che era parcheggiata circa sei chilometri a est in cui c'era il Re, che si lamentava di tutte le misure di sicurezza dal sedile anteriore. Loro due avrebbero portato Wrath lì - dando al gruppo una serie di modi per allontanare il maschio se andava tutto a puttane.
Rhage odiava il fatto che lo stavano portando lì per incontrare Throe, ma Wrath aveva rifiutato di inviare un emissario, e cosa avrebbero dovuto fare? Legarlo a una cazzo sedia in modo che non potesse venirci da solo?
“A titolo informativo...” Rhage sfoderò uno dei suoi pugnali neri. “Non garantisco che non farò a fettine questo figlio di puttana.”
“Te lo tengo giù io” rimarcò qualcuno.
Un vento freddo soffiava da nord, spargendo foglie cadute sui suoi anfibi e Rhage lanciò un'occhiata oltre la spalla. Nulla si muoveva alla sua sinistra. Non c'era nessuno tra i cespugli. Nessun cattivo odore permeava l'aria.
Ma si sentiva dannatamente sospettoso.
Beh, ovvio. Tutto ciò che aveva a che fare con la Banda dei Bastardi era più o meno come una serata casalinga sul divano a fingere di guardare davvero Scandal.
Oppure RHONJ, se Lassiter aveva tra le mani quel cazzo di telecomando.
Dieci minuti più tardi, la Range Rover svoltò l'angolo e affrontò la salita, i fari che lampeggiavano sulla facciata della casa e su loro.
Butch guidò in cerchio davanti al palazzo in modo che il SUV fosse di fronte alla via di fuga, e poi Wrath aprì la portiera ed emerse dal sedile del passeggero. Con i suoi stivali, il maschio svettava dal tetto del veicolo e, a differenza del resto di loro, non indossava alcun cappotto o una giacca.
Una semplice camicia nera. Sotto la quale c'era il giubbotto antiproiettile obbligatorio.
Almeno erano riusciti a fargli indossare quello.
Grazie, Beth.
Rhage si mise in formazione con gli altri, facendo da scudo a Wrath con i loro corpi mentre si spostavano in avanti. Nello stesso istante in cui raggiunsero la porta di casa, Abalone la spalancò come se fosse stato alla finestra a controllare il prato in attesa del loro arrivo.
“Mio Signore. Confraternita. Benvenuti nella mia dimora.”
Quando il Primo Consigliere si inchinò profondamente, Rhage dovette ammettere di apprezzare il tizio. Chiappa soda, come lo chiamavano loro, era uno dei pochi aristocratici in cui Rhage fosse incappato che non solo possedeva metà cervello, ma un cuore integro, sotto un atteggiamento da dandy.
“Se volete seguirmi...” esclamò il tizio, indicando con la mano.
Parte dell'accordo preliminare era che l'incontro sarebbe avvenuto in biblioteca e una delle finestre sarebbe stata accostata, nel caso in cui Wrath avesse dovuto smaterializzarsi fuori. Throe, che avrebbe atteso in una sala separata, sarebbe stato accompagnato dentro da un Fratello, e scortato fuori da un altro.
E c'erano anche un altro paio di clausole.
Una volta dentro la stanza tappezzata di libri, Rhage fece una rapida, ma esauriente, ispezione della chiusura della finestra e disse: “Fatemi andare a prendere lo stronzo”.
“Ne sei sicuro?” chiese V.
“Non ho intenzione di mangiarlo... ancora.”
Troncò qualsiasi obiezione dirigendosi verso Abalone, che gironzolava nel foyer. Sembrava impegnato in una discussione introspettiva in cui doveva decidere se vomitare sulle proprie scarpe oppure provare a raggiungere il bagno prima di lasciarsi andare.
“Allora, dov'è il tuo cugino?” Rhage offrì al tizio un sorriso rassicurante. Come se lui stesse solo per imballare il bastardo e nulla più. “Laggiù?”
Abalone fece un cenno verso la porta chiusa di fronte. “Sì. È nel salone maschile.”
Rhage mise una mano sulla spalla del Primo Consigliere. “Non ti preoccupare, Ciappa soda. Sarà un gioco da ragazzi.”
Sentì il povero figlio di puttana tirare un sospiro di sollievo. “Sì, mio Signore. Grazie.”
Dopo un altro giro veloce di va bene così, Rhage scivolò attraverso la porta del salotto e la chiuse dietro di sé. Throe era in piedi dall'altra parte della stanza dalle pareti rivestite, sembrava il tipico maschio illustre che una volta si trovava nel Vecchio Continente - nonostante il fatto che i abiti fossero moderni.
“Rhage?” domandò il maschio, facendosi avanti.
“Già.”
Throe ebbe la possibilità di porgere la mano per una stretta - e quello fu tutto. Rhage gli afferrò il polso, lo fece ruotare come una ballerina e gli spinse la faccia contro la parete più vicina.
“Cosa stai…”
“Ti perquisisco, stronzo.” Okay, forse "prendere a pugni" era più accurato. “Allarga le gambe.”
“Mi stai facendo male…”
“Se trovo una qualsiasi arma, la uso su di te. Sono stato chiaro?” 
“C'è proprio bisogno di essere così…”
“Voltati.” Rhage strattonò il tizio per la cintura, lo girò come una trottola e lo inchiodò alla parete di fronte con il viso rivolto verso di lui. “No, su la testa.”
Afferrò il mento di Throe con la mano e lo costrinse a sollevare il magnifico volto. Dopo aver effettuato una mammografia a quel petto sorprendentemente massiccio, Rhage scese in basso a suon di schiaffi e strizzò così forte i gioielli di Throe da fargli cantare un Do di petto.
“Chiedo scusa!”
“Non c'è niente là. Non è una visita a sorpresa.”
Scese lungo le cosce. I polpacci. Tornò di nuovo all'altezza degli occhi.
“Ecco le regole. Se provi a fare un gesto verso il mio Re in un qualsiasi modo che non mi piace, sarai morto prima che di toccare il pavimento. Ci siamo capiti?”
“Sono venuto qui in pace. Ho chiuso con i combattimenti…”
“Abbiamo un accordo? Se soltanto provi a starnutire su di lui, se provi a stringergli la mano, o a guardare due volte i suoi cazzo di stivali, ti metto l'etichetta di riconoscimento all'alluce.”
“Sei sempre così eccessivo?”
“Così sono calmo, freddo e controllato, puttanella. Non ti andrebbe di vedermi incazzato.”
Rhage spinse il tizio verso la porta, l'aprì e strinse una mano sul collo di Throe.
“Posso camminare da solo” biascicò il maschio.
“Davvero? Ne sei sicuro?”
Rhage cambiò la presa, schiacciò il palmo contro la faccia del maschio, riducendo il viso di Throe a un ammasso di occhi, naso e bocca.
“Va meglio così? No? Eh, immagino che sia una gran rottura di coglioni.”
Volutamente sbilanciò Throe, si divertì a fargli eseguire gli esercizi giornalieri di Fred Astaire mentre il ragazzo superava Abalone a passo di tiptap ed entrava in biblioteca.
“Oh, siamo già a questo punto” borbottò V mentre si accendeva una sigaretta rollata a mano.
“Almeno non c'è salsa barbecue in giro” rimarcò lo sbirro.
“Non ancora” sospirò V. “La notte è ancora giovane.”
Rhage si schiarì la gola. “Mio Signore e sovrano, Wrath, figlio di Wrath, padre del figlio diletto Wrath, ti presento Throe, il Pezzo di Merda.”
Su quell'affermazione, diede al maschio una forte spinta verso il tappeto orientale, e sai cosa? Con il culo per aria il figlio di puttana si ritrovò al posto che gli competeva.
Ai piedi dell'unico vero Re.

VERONICA