THE
SHADOWS
Ho
deciso di riproporre come l’anno scorso la traduzione di alcuni capitoli del
nuovo libro della Ward con protagonisti Trez e iAm, fino all’uscita della
traduzione italiana della mondo libri.
Aspetto
ancora con ansia altri vostri commenti e prego di citare la fonte se mai
vorrete prendere in prestito questa traduzione.
La
traduzione è amatoriale e senza scopo di lucro.
Alcune
parti non sono tradotte letteralmente perché era impossibile trascrivere in
italiano quello espresso in inglese, soprattutto modi di dire.
CAPITOLO XIV
Layla si
sentiva oppressa mentre guidava con un piede sull'acceleratore ed entrambe le
mani sul volante della sua Mercedes azzurra. Qhuinn le aveva comprato la E350
4matic, qualunque cosa significasse, circa tre mesi prima. Lui avrebbe voluto
qualcosa di più vistoso, di più grande e più veloce ma, alla fine, la piccola
berlina era stata quella con cui lei si era trovata più suo agio. E aveva
scelto quel colore perché le ricordava la vasche da bagno su al Santuario.
La campagna
alla periferia di Caldwell si estendeva su colline e valli, lei amava quei
graziosi campi ondulati pieni di mais nei mesi di luglio e agosto, che venivano
falciati come la barba di un maschio nei mesi di inattività. Lei conosceva ogni
particolare del paesaggio con il cuore, il percorso che conduceva a quel
determinato pendio, a quel particolare campo, a quell'albero adesso così
importante.
Quando arrivò alla base della collina bassa, spense le luci e lasciò che l'auto scivolasse fino a fermarsi. Non si sentiva mai bene nel venire qui, ma dopo aver visto lo stato in cui Selena si trovava ed essere conscia di ciò che significava, il suo cuore era ancora più pesante del solito.
Quando arrivò alla base della collina bassa, spense le luci e lasciò che l'auto scivolasse fino a fermarsi. Non si sentiva mai bene nel venire qui, ma dopo aver visto lo stato in cui Selena si trovava ed essere conscia di ciò che significava, il suo cuore era ancora più pesante del solito.
Si issò,
uscendo da dietro al volante, poggiò le mani in basso sulla schiena e si inarcò
sporgendo il petto in fuori, cercando di rilassare i muscoli che sembravano
perennemente contratti -
“Sei in
anticipo.”
Con un
sussulto, Layla si voltò.
Xcor era in
piedi a pochi metri di distanza dal paraurti posteriore dell'auto e lei capì
subito che qualcosa non andava in lui. Non che il suo volto duro fosse diverso
in qualche modo; dal labbro leporino che faceva apparire un ringhio perenne
sulla bocca, agli occhi furbi e la mascella scolpita. Tutte le caratteristiche
erano le stesse di sempre. Non aveva cambiato il taglio di capelli, come sempre
rasati. Neanche il lungo spolverino di pelle nera, oppure gli stivali da
combattimento, o tutte le armi che lei sapeva avere addosso, ma che aveva
sempre cura di nascondere alla sua vista.
Non era in
grado di individuare esattamente quale fosse l'indizio. Ma il suo istinto non
mentiva e non si era mai sbagliato.
“Sei
indisposto?” chiese lei.
“E tu?”
Layla appoggiò
una mano sulla pancia. “No, sto bene.”
“Cos'è
successo ieri sera? Perché non sei venuta?”
Un'immagine
di Qhuinn che andava avanti e indietro nella sala da biliardo mentre lei e Blay
si sedevano sul divano le balenò alla mente. E poi vide loro tre starsene in
disparte giù nella sala visite del centro di addestramento mentre visitavano
Selena e infine veniva data la brutta notizia.
“Ho avuto
un'emergenza familiare” disse lei. “Beh, due, in realtà.”
“Di che
tipo?”
“Nulla che
ti riguardi.”
“Non c'è molto
di te che non mi riguardi.”
Alzando lo
sguardo verso l'albero sotto il quale di solito si sedevano, Layla rabbrividì. “Io…”
“Hai freddo.
Entriamo in macchina.”
Nel suo
solito modo, Xcor prese il comando, le aprì la portiera e si fece da parte, in
un ordine silenzioso. Per un attimo, lei esitò. Nonostante il nobile impulso di
assicurarsi che il Re e i Fratelli fossero in salvo, lei sapeva nel suo
profondo che nessuno di loro avrebbe mai approvato questi incontri, queste
parole, questo tempo trascorso con il nemico giurato della Confraternita.
Colui che
aveva tramato per la morte di Wrath non una, ma due volte.
Starsene
seduta con Xcor proprio nell'auto che Qhuinn aveva comprato per lei con tutto
il suo affetto era una violazione di tutti i rapporti che per lei valevano di
più.
Solo che
stava proteggendo quelli che lei amava, ricordò a se stessa.
“Entra” le
disse Xcor.
E lei entrò.
Una volta
chiusa la portiera, Xcor fece il giro dell'auto fino al lato del passeggero,
batté le nocche sul finestrino e lei sbloccò la chiusura centralizzata. A quel
punto lei riflette sul falso mito che gli umani attribuivano ai vampiri, in cui
si supponeva che i non morti dovessero essere invitati a entrare per poter
attraversare una soglia.
Quanto era
lontano dalla realtà.
Il corpo da
guerriero di Xcor occupò tutto lo spazio nell'abitacolo mentre si accomodava su
un sedile che era troppo grande per lei, sebbene fosse incinta. Layla fece un
respiro profondo per ricomporsi, odiava il fatto che le piacesse il suo odore -
ma le piaceva comunque. In realtà, si era sempre preso la briga di ripulirsi
per bene ogni volta che si erano incontrati, la pelle profumata di una colonia
speziata che lei voleva trovare a tutti i costi sgradevole.
Tutto questo
era molto più accettabile se fosse rimasta concentrata sul fatto che lei veniva
costretta all'adiacenza, al contatto, a questa vicinanza.
Perché
trovarsi lì con lui su libero arbitrio...
Dio, perché
doveva sentirsi così stasera…
“Metti in
moto” disse lui. “Per favore.”
“Cosa?” Il
suo cuore cominciò a battere forte. “Perché…”
“Qui non è
più sicuro. Dobbiamo incontrarci da un'altra parte.”
“Perché?” La
realtà di quanto poco sapesse e si fidasse di lui le fece capire esattamente
quanto fossero lontani. “Che cosa è cambiato?”
Lui la
guardò. “Per favore. È per la tua sicurezza. Non ti farei mai del male -
dovresti saperlo - e per questo ti dico che qui non è più sicuro per noi.”
Lei sostenne
il suo sguardo per un lungo momento. “Dove andiamo?”
“Ho messo in
sicurezza un altro posto. Dirigiti a ovest. Per favore.”
Quando lei
non si mosse, Xcor mise una mano sulle sue e le strinse. “Qui non siamo al
sicuro.”
Mentre
lasciava la presa, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei. E un attimo
dopo, Layla si fissò sul panorama mentre si allungava in avanti e premeva il
pulsante di avviamento per accendere il motore. “Va bene.”
Non appena
l'auto partì, nell'abitacolo si sentì un persistente suono ripetitivo. “È la
tua cintura di sicurezza” spiegò lei. “Devi metterla.”
Lui eseguì
senza alcun commento, tese completamente la cintura e la passò sul petto
massiccio, quindi inserì l'attacco nella chiusura.
“Quanto
dista?” chiese lei, mentre un nuovo picco di paura le faceva accelerare di
nuovo il battito.
“Poco più di
quindici chilometri.”
Xcor abbassò
appena il finestrino e respirò come se stesse cercando di individuare un
profumo nell'aria. “È un posto sicuro.”
“Mi stai
sequestrando?”
Lui
indietreggiò. “No. Sei, come sempre, libera di andare e venire.”
“Va bene.”
Lei sperava
che stesse dicendo la verità. Pregava che fosse sincero. E non che si facesse
luce sul gioco fatale che lei stava giocando.
Questa
storia doveva finire, pensò lei. C'era in corso una guerra contro i lesser.
Lui era un traditore del Re.
Lei era
sempre più incinta. Il problema era che non sapeva come districare le corde che
li tenevano legati insieme.
Rhage fu
l'ultimo dei Fratelli a materializzarsi sul prato di una villa che sembrava
uscita fuori da una rivista per i ricconi appartenenti all' 1% della
popolazione. Quando alzò lo sguardo verso l'immensa casa vicina, udì la voce
del narratore esterno dal vecchio telefilm di Batman che diceva: “Nel frattempo,
alla maestosa tenuta Wayne...”.
Il palazzo
in stile Tudor si affacciava su prati ben curati ed era di una bellezza tale da
poter fraternizzare con niente meno che la Casa Bianca, le luci accese
l'interno risplendevano di uno sfarzoso giallo tenue come se ci fossero delle
coperture in oro massiccio su tutte le lampade. Con rapida efficienza, un
maggiordomo poteva essere visto di fronte alla fila di finestre con vetri a
diamante con indosso la divisa formale, qualcosa che avrebbe messo Fritz.
Probabilmente
si servivano dallo stesso sarto.
“Siamo
pronti per Sua Altezza Reale?” chiese ironicamente V.
Ci fu un
borbottio di conferma tra loro cinque, e poi Vishous scomparve nel nulla. Il
piano era che lui raggiungesse Butch nella nuovissima Range Rover dello sbirro,
che era parcheggiata circa sei chilometri a est in cui c'era il Re, che si
lamentava di tutte le misure di sicurezza dal sedile anteriore. Loro due
avrebbero portato Wrath lì - dando al gruppo una serie di modi per allontanare
il maschio se andava tutto a puttane.
Rhage odiava
il fatto che lo stavano portando lì per incontrare Throe, ma Wrath aveva
rifiutato di inviare un emissario, e cosa avrebbero dovuto fare? Legarlo a una
cazzo sedia in modo che non potesse venirci da solo?
“A titolo
informativo...” Rhage sfoderò uno dei suoi pugnali neri. “Non garantisco che
non farò a fettine questo figlio di puttana.”
“Te lo tengo
giù io” rimarcò qualcuno.
Un vento
freddo soffiava da nord, spargendo foglie cadute sui suoi anfibi e Rhage lanciò
un'occhiata oltre la spalla. Nulla si muoveva alla sua sinistra. Non c'era
nessuno tra i cespugli. Nessun cattivo odore permeava l'aria.
Ma si
sentiva dannatamente sospettoso.
Beh, ovvio.
Tutto ciò che aveva a che fare con la Banda dei Bastardi era più o meno come
una serata casalinga sul divano a fingere di guardare davvero Scandal.
Oppure RHONJ,
se Lassiter aveva tra le mani quel cazzo di telecomando.
Dieci minuti
più tardi, la Range Rover svoltò l'angolo e affrontò la salita, i fari che
lampeggiavano sulla facciata della casa e su loro.
Butch guidò
in cerchio davanti al palazzo in modo che il SUV fosse di fronte alla via di
fuga, e poi Wrath aprì la portiera ed emerse dal sedile del passeggero. Con i
suoi stivali, il maschio svettava dal tetto del veicolo e, a differenza del
resto di loro, non indossava alcun cappotto o una giacca.
Una semplice
camicia nera. Sotto la quale c'era il giubbotto antiproiettile obbligatorio.
Almeno erano
riusciti a fargli indossare quello.
Grazie,
Beth.
Rhage si
mise in formazione con gli altri, facendo da scudo a Wrath con i loro corpi
mentre si spostavano in avanti. Nello stesso istante in cui raggiunsero la
porta di casa, Abalone la spalancò come se fosse stato alla finestra a
controllare il prato in attesa del loro arrivo.
“Mio
Signore. Confraternita. Benvenuti nella mia dimora.”
Quando il
Primo Consigliere si inchinò profondamente, Rhage dovette ammettere di
apprezzare il tizio. Chiappa soda, come lo chiamavano loro, era uno dei pochi
aristocratici in cui Rhage fosse incappato che non solo possedeva metà
cervello, ma un cuore integro, sotto un atteggiamento da dandy.
“Se volete
seguirmi...” esclamò il tizio, indicando con la mano.
Parte
dell'accordo preliminare era che l'incontro sarebbe avvenuto in biblioteca e
una delle finestre sarebbe stata accostata, nel caso in cui Wrath avesse dovuto
smaterializzarsi fuori. Throe, che avrebbe atteso in una sala separata, sarebbe
stato accompagnato dentro da un Fratello, e scortato fuori da un altro.
E c'erano
anche un altro paio di clausole.
Una volta
dentro la stanza tappezzata di libri, Rhage fece una rapida, ma esauriente,
ispezione della chiusura della finestra e disse: “Fatemi andare a prendere lo
stronzo”.
“Ne sei
sicuro?” chiese V.
“Non ho intenzione
di mangiarlo... ancora.”
Troncò
qualsiasi obiezione dirigendosi verso Abalone, che gironzolava nel foyer.
Sembrava impegnato in una discussione introspettiva in cui doveva decidere se
vomitare sulle proprie scarpe oppure provare a raggiungere il bagno prima di
lasciarsi andare.
“Allora,
dov'è il tuo cugino?” Rhage offrì al tizio un sorriso rassicurante. Come se lui
stesse solo per imballare il bastardo e nulla più. “Laggiù?”
Abalone fece
un cenno verso la porta chiusa di fronte. “Sì. È nel salone maschile.”
Rhage mise
una mano sulla spalla del Primo Consigliere. “Non ti preoccupare, Ciappa soda.
Sarà un gioco da ragazzi.”
Sentì il
povero figlio di puttana tirare un sospiro di sollievo. “Sì, mio Signore.
Grazie.”
Dopo un
altro giro veloce di va bene così, Rhage scivolò attraverso la porta del
salotto e la chiuse dietro di sé. Throe era in piedi dall'altra parte della
stanza dalle pareti rivestite, sembrava il tipico maschio illustre che una
volta si trovava nel Vecchio Continente - nonostante il fatto che i abiti
fossero moderni.
“Rhage?”
domandò il maschio, facendosi avanti.
“Già.”
Throe ebbe
la possibilità di porgere la mano per una stretta - e quello fu tutto. Rhage
gli afferrò il polso, lo fece ruotare come una ballerina e gli spinse la faccia
contro la parete più vicina.
“Cosa stai…”
“Ti
perquisisco, stronzo.” Okay, forse "prendere a pugni" era più
accurato. “Allarga le gambe.”
“Mi stai
facendo male…”
“Se trovo
una qualsiasi arma, la uso su di te. Sono stato chiaro?”
“C'è proprio
bisogno di essere così…”
“Voltati.”
Rhage strattonò il tizio per la cintura, lo girò come una trottola e lo
inchiodò alla parete di fronte con il viso rivolto verso di lui. “No, su la
testa.”
Afferrò il
mento di Throe con la mano e lo costrinse a sollevare il magnifico volto. Dopo
aver effettuato una mammografia a quel petto sorprendentemente massiccio, Rhage
scese in basso a suon di schiaffi e strizzò così forte i gioielli di Throe da
fargli cantare un Do di petto.
“Chiedo
scusa!”
“Non c'è
niente là. Non è una visita a sorpresa.”
Scese lungo
le cosce. I polpacci. Tornò di nuovo all'altezza degli occhi.
“Ecco le
regole. Se provi a fare un gesto verso il mio Re in un qualsiasi modo che non
mi piace, sarai morto prima che di toccare il pavimento. Ci siamo capiti?”
“Sono venuto
qui in pace. Ho chiuso con i combattimenti…”
“Abbiamo un
accordo? Se soltanto provi a starnutire su di lui, se provi a stringergli la
mano, o a guardare due volte i suoi cazzo di stivali, ti metto l'etichetta di
riconoscimento all'alluce.”
“Sei sempre così
eccessivo?”
“Così sono
calmo, freddo e controllato, puttanella. Non ti andrebbe di vedermi incazzato.”
Rhage spinse
il tizio verso la porta, l'aprì e strinse una mano sul collo di Throe.
“Posso
camminare da solo” biascicò il maschio.
“Davvero? Ne
sei sicuro?”
Rhage cambiò
la presa, schiacciò il palmo contro la faccia del maschio, riducendo il viso di
Throe a un ammasso di occhi, naso e bocca.
“Va meglio
così? No? Eh, immagino che sia una gran rottura di coglioni.”
Volutamente
sbilanciò Throe, si divertì a fargli eseguire gli esercizi giornalieri di Fred
Astaire mentre il ragazzo superava Abalone a passo di tiptap ed entrava in
biblioteca.
“Oh, siamo
già a questo punto” borbottò V mentre si accendeva una sigaretta rollata a mano.
“Almeno non
c'è salsa barbecue in giro” rimarcò lo sbirro.
“Non ancora”
sospirò V. “La notte è ancora giovane.”
Rhage si
schiarì la gola. “Mio Signore e sovrano, Wrath, figlio di Wrath, padre
del figlio diletto Wrath, ti presento Throe, il Pezzo di Merda.”
Su
quell'affermazione, diede al maschio una forte spinta verso il tappeto
orientale, e sai cosa? Con il culo per aria il figlio di puttana si ritrovò al
posto che gli competeva.
Ai piedi
dell'unico vero Re.
VERONICA
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